Brevi cenni storici del Comune
L’esistenza del Comune di Volvera è certificata a partire dal XI° secolo: nel 1029, infatti, la metà del paese venne donata dal vescovo di Asti, Alrico, al monastero benedettino di San Giusto di Susa, che ottenne l’altra metà dal prete Sigifredo nel 1037.
Nel XII° secolo il paese entrò a far parte dei possedimenti dei conti di Piossasco. Gualtieri I°, all’interno della politica di ampliamento del suo feudo, occupò Volvera, sottraendola al controllo dei monaci. Nonostante l’appello al conte Amedeo III° di Savoia, pronunciatosi a favore dei monaci, questi ultimi non riebbero il feudo, anche per il non fattivo intervento di Amedeo che non voleva inimicarsi i Piossasco, da tempo suoi fedeli seguaci. I Piossasco rimasero quindi feudatari di Volvera fino all’abolizione della feudalità alla fine del XVIII° secolo.
Volvera fu sede di numerosi scontri di truppe, tra cui sono da ricordare quelli culminati nella battaglia della Marsaglia (4 ottobre 1693) e il passaggio di truppe francesi nel 1799 in occasione della presa di possesso del Piemonte dopo la cacciata del re Carlo Emanuele IV°.
L’attività economica principale di Volvera è stata fino a qualche anno fa l’agricoltura anche se nella seconda metà dell’ottocento nel Comune si svilupparono alcune attività industriali, in particolare manifatturiere, fra cui la “Manifattura Bonino” che dava lavoro ad un centinaio di operai. Lo stabilimento cessò la sua attività dopo alcuni decenni e fu utilizzato dal 1881 come “Collegio degli Artigianelli” dall’Istituto San Giuseppe che si trasferì successivamente negli anni 1920 a Rivoli.
Nell’inverno 1944 – 1945 Volvera fu sede del comando della Brigata G.L. “Campana” che, nell’ambito della 43a Divisione De Vitis, ebbe un ruolo attivo tra le formazioni partigiane della Val Sangone.
A partire dagli anni 1950 lo sviluppo economico e commerciale del paese è stato essenzialmente legato all’opera di Mariuccia Sopegno, la “Santa di Volvera”, che per oltre 40 anni si rese disponibile ad accogliere con grande dedizione le persone malate o bisognose che ricorrevano numerose alle sue parole di sostegno e di conforto.
La vocazione principalmente agricola del paese si è trasformata in modo definitivo a partire dagli anni 1960 anche grazie all’insediamento in zona di numerosi stabilimenti industriali (Indesit, Fiat di Rivalta, …) e, più in particolare, della “Fiat Ricambi” sul territorio comunale.
Attualmente la popolazione è di circa 8.800 abitanti che risiedono in buona parte (circa i due terzi) nel concentrico del paese; la parte restante vive alle frazioni Gerbole e Zucche poste a tre chilometri dall’abitato verso i confini dei Comuni di Rivalta e Orbassano.
Il significato del nome “Volvera”
Il toponimo “Volvera” è stato nel tempo descritto con tre diverse interpretazioni.
La prima è riferita dal Casalis nel suo “Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna” (Torino, 1833 – 1856) che attesta in modo univoco come “… alcuni pretendono che anticamente questo luogo si chiamasse ‘Laurera’, e s’inducono a ciò credere perchè lo stemma ne presenta un ‘lauro’ …” precisando però di essere “… ben certo che da età rimotissima (il paese) già chiamavasi ‘Volveria’, come risulta dalle donazioni fatte a favore del monastero di S.Giusto di Susa nel 1029 e nel 1037”.
Analoga tesi è condivisa dal Teologo Giovanni Elia (“Brevi cenni storici intorno al Comune di Volvera” – Torino, 1896) che scrive “Si vuole dagli studiosi delle antichità che questo Borgo anticamente si appellasse ‘Laurera’ da una folta siepe di Lauro, che circondava il Castello ora scomparso, giusta una tradizione locale; ed infatti lostemma del Comune anche presentemente è la simbolica e aromatica pianta del ‘lauro’ sempre verde, con cui s’inghirlandava la fronte dei poeti, dei dotti, dei benemeriti nei tempi andati …”.
La seconda afferma che il nome Volvera deriva dal verbo latino “volvo – volvere”, a testimonianza dell’evoluzione compiuta dall’originario centro abitato con il suo trasferimento nella sua attuale collocazione.
Anche questa ipotesi, peraltro molto labile, è proposta dall’Elia nei suoi “cenni storici” con la puntualizzazione “… questo Borgo era più a levante presso l’antica Chiesa parrocchiale di S. Giovanni, che tuttora esiste almeno in parte, e che quindi venne fabbricato in posto più salubre verso ponente, così un’altra opinione sostiene che a ‘volvendo’ venisse denominata ‘Volveria’ o Volvera …”.
La terza indica “Volvera” come estensione della parola latina “ulva” da cui nasce la forma dialettale piemontese “vòlva – vòrva”.
La tesi è contenuta nel volume, a cura di Renzo Ambrogio, “Nomi d’Italia – Origine e significato dei nomi geografici e di tutti i Comuni” (Istituto Geografico De agostini di Novara – 2006) che riporta:
Volvera (To) – Attestato come “de Ulparia” nel 1162, può essere interpretato come la continuazione di “Ulvaria”, derivato in “-airus” dal latino “ulva” (erba palustre), donde il piemontese “vòlva” (pula del grano), quindi “(luogo) propriamente della pula del grano”.
Questa ipotesi è anche sostenuta dal prof. Camillo Brero che però alla parola di origine latina “vòlva” o “vulva” associa un significato orientato ad attestare e riconoscere la fertilità del terreno e della campagna volverese.
Con questi ultimi riferimenti e seguendo la dizione popolare “la Volvera” utilizzata per indicare il nostro paese, “Volvera” significa quindi “luogo dove si coltiva/macina il grano”.
Lo stemma e il gonfalone
Lo stemma è composto da uno scudo di forma sannitica con campo azzurro bordato di nero. Sullo scudo è rappresentato schematicamente un albero di lauro, con fusto di colore grigio-marrone munito di sei rametti ciascuno con tre foglie di colore verde poste a ventaglio sulla sommità e di un’altra foglia posta sulla sommità dell’albero; ai rametti con foglie sono alternati quattro ramoscelli con una drupa di colore nero in cima. Sotto lo scudo è presente una lista bifida e svolazzante di colore azzurro recante il motto “Ingenio virtutique decus”.
Il gonfalone è costituito da un drappo rettangolare di colore rosso con frangia d’argento, disteso su un pennone attaccato a un’asta verticale con punta a forma di lancia. Sul drappo sono riportate il nome del Comune e lo stemma sormontato da una corona d’argento merlata, mentre alla base compare la lista bifida e svolazzante recante il motto “Ingenio virtutique decus”. Lo stemma è fasciato alla base da una fronda di alloro verde con bacche di colore oro e da una quercia con foglie verdi e ghiande di colore oro, legate insieme da un nastro tricolore.
Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi, così come previsto dalle leggi in materia, con Decreto del Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, del 19 Gennaio 1999 a seguito della domanda richiesta di “regolarizzazione” avviata con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 46 del 29 Giugno 1998.
Il “nuovo” gonfalone è stato utilizzato per la prima volta domenica 16 luglio 2000 in occasione della Festa Patronale di Santa Maria Maddalena.
Santa Maria Maddalena patrona di Volvera
Un vecchio documento dell’archivio storico del comune racconta che il 16 luglio 1745 il Sindaco di allora Egidio Lanza venne a sapere di “… un bue infetto dalla influenza endemica …”. Nei giorni successivi, dopo aver attuato i dovuti accertamenti sanitari, emerse una preoccupante e diffusa moria d’animali bovini che obbligò il comune ad attivare appositi lazzareti in cui ricoverare il bestiame per delimitare il contagio, preparare grosse uche con calce viva per seppellire le carogne degli animali ed uno speciale gruppo di guardie a cui affidare i controlli sanitari e le più opportune forme di prevenzione e cura.
L’epidemia, che causò la morte quasi totale degli animali bovini, fu interpretata come segno della disapprovazione celeste e spinse i Volveresi a ricorrere, “.. per placare la divina giustizia …” all’intercessione di Santa Maria Maddalena.
Nel giugno 1746, terminata la pestilenza, lo scultore Ignazio Prucha di Torino, fu incaricato di costruire la statua della santa ed il Consiglio Comunale decise su indicazione del parrocoDon Genesio, di festeggiare Santa Maria Maddalena ogni anno nel mese di luglio come Santa Patrona del Comune.
Da allora, la nostra Santa Patrona ha visto il ricorso dei Volveresi nelle circostanze più critiche della loro esperienza: guerre, siccità, malattie, ecc. a volte addirittura su iniziativa del Comune che pagava forniva le candele e pagava le spese per novene straordinarie per richiedere la Sua intercessione.
Attualmente questa antica tradizione religiosa viene ricordata, nell’ambito del ricco programma di iniziative culturali e di aggregazione preparato per l’annuale festa patronale, con una solenne processione lungo le vie del paese la terza domenica di luglio.
L’orso e la capra del carnevale
Grazie alle testimonianze raccolte intervistando alcuni anziani di Volvera è stato possibile conoscere ,ed in parte ricostruire, il carnevale tradizionale del nostro paese. Il lungo ed articolato periodo di festa che iniziava dopo l’Epifania e si concludeva il martedì grasso con il rogo del pupazzo sulla piazza principale del comune,era caratterizzato dalla presenza di due maschere animali: l’orso e la capra.
La comparsa della maschera dell’orso, che avveniva in occasione della ricorrenza di Sant’Orso, il primo giorno di febbraio.Erano i coscritti del paese che organizzavano e gestivano questo importante evento calendariale.
Alcuni giovani mascherati da cacciatori e domatori conducevano, incatenato per le strade del piccolo centro rurale, un giovane travestito da orso. La vestizione avveniva lontano da sguardi indiscreti poiché nessuno doveva conoscere l’identità della persona che indossava il costume rituale. Il giovane era ricoperto di una pelle di animale e il viso era celato da una maschera custodita dalla banda musicale. Completavano il gruppo carnevalesco alcuni giovani travestiti da “vecchie nonnine” chiamate Catlin-e, che avevano il compito di raccogliere e custodire le offerte in una grossa cesta, e alcuni suonatori che annunciavano l’arrivo del feroce animale.
Durante l’interminabile questua per le vie del paese l’orso si agitava e incuteva paura, entrava nelle case e nei negozi, di tanto in tanto tentava la fuga attirando così l’attenzione del domatore e del cacciatore. La famiglia che riceveva la visita dell’orso, per ammansire l’animale, era solita offrire piccoli doni in natura (uova, salame) o, in rari casi, piccole somme di denaro. Dopo che le Catlin-e avevano riposto nella cesta l’offerta ricevuta, l’animale carnevalesco si esibiva in un ballo di buon auspicio.
Dopo cinquantanni dalle ultime apparizioni dell’orso, che risalgono ai primi anni del secondo dopoguerra, nel 1995 la passeggiata dell’orso è stata nuovamente riproposta e si sta caratterizzando come un importante tassello del calkendario festivo della nostra comunità.
Oltre alla figura dell’orso, anche la capra animava il tempo trasgressivo del carnevale di Volvera. Tradizionalmente il rito della capra che insieme all’orso animava il tempo della trasgressione a Volvera si svolgeva nei venerdì di carnevale.
Questa performance rituale era organizzata dai giovani del paese e consisteva nel far visita alle famiglie radunate nelle stalle per trascorrere a veglia le lunghe sere invernali. Il piccolo gruppo carnevalesco preferiva recarsi presso le case dove vi erano ragazze in età da marito. La capra che portava al collo un campanaccio era legata ad una lunga corda tenuta dal padrone, accompagnato dalla moglie Gin, un giovane travestito da donna. Il padrone, dopo aver bussato alla porta della stalla, dichiarava di essere un povero uomo giunto da Brescia e chiedeva ospitalità per trascorrere la notte. Il giorno seguente sarebbe ripartito per andar a vendere altrove la capra. All’apertura della porta entrava solo il padrone mentre l’animale carnevalesco restava fuori impedendo la chiusura della porta; l’aria gelida raffreddava rapidamente l’unico luogo caldo creando scompiglio e risate nella stalla. La compagnia dei giovani, a questo punto, dava inizio ad un’animata e divertente compravendita della capra, ma il prezzo offerto dal negoziante era sempre inadeguato rispetto alle richieste del padrone. Dopo un’estenuante contrattazione il proprietario, piuttosto di svendere l’animale colpiva la capra con una bastonata uccidendola. Un giovane travestito da veterinario, con azioni a sfondo sessuale constatava l’avvenuto decesso. Tra urla e pianti Gin, la moglie del padrone, affermava che senza capra non sarebbe più riuscita a procurarsi il cibo necessario per vivere. La famiglia ospitante capiva che era arrivato il momento di offrire qualcosa da mangiare e da bere alla compagnia
Il rito della capra si è svolto con regolarità fino ai primi anni del secondo dopoguerra. Dopo una lunga fase di oblio è stato riproposto durante il carnevale del 1996. Attualmente la capra “esce” il martedì grasso e sfila per le vie del paese in compagnia dell’orso con la finalità di tener viva e rinnovare unitamente alla immancabile questua una importante e rara testimonianza della tradizione del nostro territorio e di Volvera.