Negli ultimi anni del 1600 l’Europa era divisa fra grandi potenze che con guerre, maneggi e alleanze cercavano di allargare ed affermare il loro dominio.
In quegli anni la Francia con Luigi XIV° raggiunse il massimo della sua potenza anche a discapito di un piccolo stato come era il Piemonte, che coinvolto suo malgrado nella rivalità tra Francia, Spagna e Impero perdeva progressivamente autonomia e indipendenza.
Non potendo opporsi alla prepotenza francese, il Duca di Savoia Vittorio Amedeo II° aspettava una occasione propizia per risollevare le sorti del suo piccolo Stato.
Nel 1686 i maggiori stati europei si allearono contro la Francia. Questa alleanza si chiamò Lega di Augusta e vi aderì anche Vittorio Amedeo II° che fu nominato “generalissimo” dell’esercito alleato in Italia.
La guerra iniziò nel 1690 e continuò con alterne vicende negli anni successivi, fino al 1696 quando dopo pesanti sconfitte Vittorio Amedeo II° riuscì a concludere un trattato con i francesi.
Durante una di queste campagne, l’alba del 4 ottobre 1693, l’esercito Alleato venne a battaglia con quello Francese comandato dal Catinat proprio nel territorio compreso fra Volvera, Orbassano e Piossasco.
I due eserciti si scontrarono ad angolo con il vertice alla sinistra Francese – schierato nella campagna antistante le alture di Piossasco – destra per gli Alleati, che fu teatro degli episodi più sanguinosi. Quest’angolo, secondo alcune cronache, “venne a trovarsi nei terreni detti Le Gerbole, a nord di Volvera e poco distante dalla cascina Canta”; luogo dove sorge la “Croce Barone”.
Terminata la battaglia, il Catinat pose il suo quartier generale al castello della Marsaglia (attualmente ricompreso in una cascina situata nel territorio di Cumiana) da dove inviò un dettagliato rapporto a Luigi XIV°, definendo lo scontro vittorioso “battaglia della Marsaglia” anche se il teatro dello sconto era ben lontano da tale località
Le perdite furono numerose da ambo le parti e si possono sommariamente indicare in 13.000. Alle perdite umane bisogna aggiungere anche quelle materiali, animali, bandiere e stendardi.
I terreni della zona restarono gerbidi ed incolti per anni. Tutto in quei luoghi fu rovinato: il terreno agricolo danneggiato dai carri e calpestato dai circa 80.000 uomini dei due eserciti, le vigne distrutte, fossi e bealere colmati, ogni segno di vegetazione scomparve.
I caduti della battaglia restarono insepolti per circa 4 mesi, provocando l’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Solo il 25 gennaio 1694 il “magistrato di sanità” fece obbligo ai sindaci di seppellire i cadaveri; un triste incarico di cui si dà atto del compimento nel corso del Consiglio Comunale del 14 marzo successivo.
Per anni la battaglia e i suoi morti furono ricordati dai Volveresi con alcune croci in legno e preghiere. Un ricordo particolare veniva fatto ogni anno durante la processione delle “rogazioni” che raggiungeva, passando dalla cascina Canta, la Croce Barone dove venivano cantate “le esequie” e recitate preghiere in suffragio dei soldati sepolti sul campo di battaglia.
Nei primi anni del 900 il Conte Lodovico Laderchi, militare a riposo, pubblicando un saggio su questa vicenda storica formulò la proposta di ricordare questo “fatto d’armi” in modo “più tangibile che da semplici croci di legno” e, successivamente, organizzò un comitato per la costruzione della “Croce Barone” che fu inaugurata, con una solenne manifestazione, il 21 ottobre 1913.
Sulla croce di granito roseo di Baveno, costruita dalla ditta Ganoli di Torino, è scolpita la scritta “Victis et victoribus in Deo resurrecturis” mentre una seconda scritta sul grande masso di 16 tonnellate che la sostiene ricorda con poche ma efficaci parole il fatto storico:
“In questi campi – il 4 ottobre 1693 – le truppe di Vittorio Amedeo II di Savoia – difesero fino all’ultimo l’onore di Savoia – speranza d’Italia”.